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Il maestro é per sempre

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Golf

S. Audisio – Come cantava Paolo Conte “…il maestro è nell’anima e dentro all’anima per sempre resterà”; anche se con riferimento a tutt’altro settore, rimane comunque l’affermazione di fondo che un maestro, soprattutto se un buon maestro, imprime un calco inconfonbibile ai propri “studenti”. Quando si dice di qualcuno “…è della scuola di…” è implicita l’affermazione che questo qualcuno ha avuto un gran maestro.

 

Tiger Woods all’Augusta National durante una sessione di pratica durante il Masters 2009, con il caddie Steve Williams (al centro) e il coach Hank Haney (a destra). (Fonte e foto: channelnewsasia.com)

Nel golf l’autodidatta esiste. Divora riviste e giornali, non perde una gara in televisione, ha grande capacità di osservare e studiare gli altri, di assimilare e ripetere. Ma è un caso raro e nasce soprattutto nei paesi dove il golf è di casa e dove familiarizzare con lo swing diventa quasi istintivo.
A tutti gli altri, invece, il golf riserva un immediato, intenso e duraturo rapporto con la figura del maestro. Dall’inizio e fino al livello più alto.

Tiger Woods per tutti. 23 anni di carriera, 15 major e parecchi coach dopo, ora il campione americano ha deciso di fare da sé. Ma con Hank Haney, ad esempio, ha vissuto quasi in simbiosi dal 2010 al 2014, con 120 giorni all’anno di lavoro insieme. E quando il coach non poteva essere presente a un torneo, dopo un giro non proprio perfetto, Tiger stava al telefono con lui per ore cercando di mettere a fuoco e a punto ciò che non aveva funzionato.

Il golf è tecnica pura e chi gioca compie un lavoro di ricerca che dura tutta la vita; più sofisticato quando si tratta di Tiger, ma non meno coinvolgente, intrigante e indispensabile anche per un discreto dilettante. Che, dopo un primo impatto più istintivo, si rende conto col tempo della complessità del gesto atletico, meccanismo che interessa tutto il corpo, difficile da controllare nel suo insieme.
Dunque, per costruire bene e rapidamente il proprio gioco occorrono fondamentali solidi e un buon maestro. Poi dipende dalle aspirazioni di ciascuno, ma di tanto in tanto il consiglio di un occhio esperto è indispensabile.

 

Il negato fisicamente non esiste nel golf, ma se chiedete a un maestro di descrivere l’allievo ideale sul piano fisico, vi dirà che cerca armonia, flessibilità, equilibrio, coordinazione, capacità di gestire la propria forza; che non fa distinzione tra uomo e donna; che vorrebbe solo non lavorare su muscolature superdotate, rigide e impacciate. Lunga mezz’ora, una giornata o un’intera settimana, la lezione può anche essere spunto per una vacanza con gli amici, diventando una full immersion dal programma vario, divertente e completo, con tante destinazioni tra cui scegliere. E meglio con i dati alla mano: le tecnologie oggi disponibili rappresentano per il maestro un punto di partenza importante.

Che siano insegnanti o giocatori di torneo, i migliori professionisti di golf si riconoscono in una grande associazione che ne certifica la competenza e ne tutela gli interessi, un brand di qualità. In Europa gli appartenenti alla PGA, Professional Golfers’ Association (nata a Londra nel 1901), sono oltre 13mila e 33 i Paesi membri. Negli Stati Uniti sono 29.000: non esiste al mondo un’organizzazione sportiva più grande. La PGA Italiana data 1963 e conta oltre 600 professionisti, che vengono formati a Roma presso la Scuola Nazionale di Golf lungo un percorso che dura quattro anni. E che prosegue con aggiornamenti costanti elevando gli standard della professione.

 


Silvia Audisio

Giornalista per passione del golf, un percorso al contrario.
Dall’università di lingue alla moda milanese indossata e venduta, ai tessuti, ma sempre con la sacca in spalla macinando buche su buche. Da Genova dov’è nata, a Milano dove abita, a Biella dove ha tirato i primi colpi a cinque anni. E poi nel mondo per una partita senza fine, con il cruccio di non aver mai fatto hole-in-one e quello di vedere il golf, in Italia, ancora tanto distante dalla gente. Ma ne parla e ne scrive con fiducia. l Golf a test è l’ultimo libro, domande e risposte per capire il gioco. Ha diretto per 12 anni la rivista Il Mondo del Golf, aperto uno studio di comunicazione, vinto un premio dell’unione stampa sportiva e, per cinque anni, ha curato il magazine del Corriere della Sera, Style Golf. Scrive per Style, Dove e La Gazzetta dello Sport. La cosa più bella? Veder giocare i bambini. Certo nel suo circolo, dove partecipa all’organizzazione delle loro attività.

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Sempre e ovunque “golf”

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S. Audisio – Cambia la scena, cambiano i colori, cambia la temperatura. Ma non certamente l’infinita passione con cui si affronta una nuova sfida, qualunque volto la natura ci offra.

 

Cambia la scena, cambiano i colori, cambia la temperatura. Ma non certamente l’infinita passione con cui si affronta una nuova sfida, qualunque volto la natura ci offra. Anche quando sotto i piedi scricchiola la neve e il verde sparisce, il golf riesce a ispirare, divertire, emozionare. Fa freddo, ma anche l’ingombro dei capi pesanti è ormai superato dalla tecnologia che, oltre a reinventare palle e bastoni, è entrata prepotentemente nelle trame dei tessuti per regalarci swing impeccabili e per nulla impacciati anche sotto zero. Il capo è caldo ma leggero, non fa entrare il vento ma lascia traspirare la pelle, è morbido, avvolgente e non emette alcun fastidioso rumore.

Perfetto, l’abbigliamento goffo e pesante sarebbe stato forse l’unico vero ostacolo a quello strano gioco che è il golf sulla neve. Invece, ancora un piccolo adattamento alle «regole locali» e la partita si fa seria. La palla naturalmente si piazza sempre e, una volta vicino alla bandiera (parlare di green è fuori luogo), si può tutto: pulire, spazzare, appiattire, prepararsi la strada migliore alla buca. Del resto il golf sulla neve non è cosa nuova se un dipinto del Seicento di Aert van der Neer, ci mostra alcuni momenti di gioco su un canale ghiacciato in Olanda. A quel tempo lo chiamavano kolven. Allo stesso modo, aspettando che i laghi engadinesi ghiaccino, si gioca da quasi trent’anni l’Engadiner Wintergolfturnier, prima a St. Moritz poi a Silvaplana. Anche il lago Baikal, in Siberia, si presta ogni inverno al golf. Che molte altre volte è salito in quota, magari non sul ghiaccio ma sulle buche estive innevate. Come a Crans, a Cervinia o a Megève per la Winter Golf Cup, qualche volta incrociandosi in combinata con uno slalom gigante. E sempre più a nord, il golf ha proposto la sua sfida più estrema, il World Ice Golf Championship. Località Uummannaq, Groenlandia, 600 chilometri a nord del Circolo Polare Artico. Condizioni limite, passione estrema, uno sforzo fisico e mentale notevole per affrontare un percorso che prende forma solo pochi giorni prima della gara tra ghiacci e immensi iceberg, con temperature che possono arrivare a meno 30 e venti gelidi (anche se il clima secco rende il freddo meno aggressivo). Mani, piedi e orecchie sono a rischio, potenti occhiali da sole consigliati, la protezione solare altissima. Sacca in spalla e niente shaft in grafite.

Chi ha partecipato dice: «È il percorso più spettacolare del mondo. Non senti il freddo più di tanto in una situazione così incredibile, surreale, come essere sul set di un film o sulla luna. Ricorda la scena finale di Superman, quando Clark torna a Krypton». E ancora, «Se ami il golf questo torneo batte qualsiasi altra cosa tu abbia fatto nella tua carriera di giocatore, un’avventura che non potrai dimenticare».
Da dicembre a maggio, nel fiordo di Uummannaq il mare è coperto da uno strato di ghiaccio spesso un metro che cattura gli iceberg di passaggio, ed è qui che si gioca, sotto un cielo blu intenso.
Ma solo quando le condizioni del ghiaccio sono perfette: infatti, dalla prima edizione del 1997, sempre più spesso il torneo è stato annullato. Troppo caldo.

 


Silvia Audisio

Giornalista per passione del golf, un percorso al contrario.
Dall’università di lingue alla moda milanese indossata e venduta, ai tessuti, ma sempre con la sacca in spalla macinando buche su buche. Da Genova dov’è nata, a Milano dove abita, a Biella dove ha tirato i primi colpi a cinque anni. E poi nel mondo per una partita senza fine, con il cruccio di non aver mai fatto hole-in-one e quello di vedere il golf, in Italia, ancora tanto distante dalla gente. Ma ne parla e ne scrive con fiducia. l Golf a test è l’ultimo libro, domande e risposte per capire il gioco. Ha diretto per 12 anni la rivista Il Mondo del Golf, aperto uno studio di comunicazione, vinto un premio dell’unione stampa sportiva e, per cinque anni, ha curato il magazine del Corriere della Sera, Style Golf. Scrive per Style, Dove e La Gazzetta dello Sport. La cosa più bella? Veder giocare i bambini. Certo nel suo circolo, dove partecipa all’organizzazione delle loro attività.

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